16 Feb
16Feb

l caso classico è quello dell’appartamento in condominio dotato di un posto auto in “uso esclusivo” nel cortile dell’edificio: dotazione che è il frutto di una diffusa prassi contrattuale pluridecennale, posta in essere specialmente nella fase in cui il condominio viene costituito con la vendita delle singole unità immobiliari da parte dell’impresa che ha costruito l’edificio o che l’ha ristrutturato.<br><br>Ma sono frequenti anche altri casi di “uso esclusivo”, relativamente, ad esempio, al ballatoio della scala condominiale dove affacciano due appartamenti di proprietà di un solo condòmino; oppure la porzione di giardino antistante l’appartamento del piano terreno; oppure, ancora, l’area prospiciente un’unità immobiliare, sempre al piano terra, destinata ad attività commerciale (per posizionare i tavoli di un bar o ristorante o per montare un gazebo per la reception dei clienti o per mettere in mostra prodotti in vendita). Per non parlare dell’uso esclusivo dell’ascensore a vantaggio di appartamenti ai piani alti (o di altri impianti al servizio solamente di una parte dei condomini), a meno che in queste ipotesi non si configuri un condominio parziale.<br><br>Sulla corretta gestione delle innumerevoli situazioni di “uso esclusivo” di cui tutta Italia è lastricata è intervenuto lo studio 30-2021/c del Consiglio nazionale del notariato, utile per orientarsi dopo la sentenza delle Sezioni unite della Cassazione 28972 del 17 dicembre 2020 (si veda il servizio su Ntplusdiritto) che ha bocciato la costituzione di diritti reali atipici. Ma andiamo con ordine.<br><br><em>Le origini dell’uso esclusivo</em><br><br>Il perché del ricorso a questo schema del diritto di “uso esclusivo”, molto praticato nei condomini italiani, non è del tutto chiaro: è probabile che si tratti di un’abitudine provocata da chi imposta il condominio senza impegnarsi nel frazionamento e nella conseguente individuazione catastale delle porzioni da attribuire in utilizzo individuale a singoli abitanti o utenti del condominio; oppure da un atteggiamento malizioso: non accatastando queste particelle, si consegue l’illegittimo scopo di renderle, di fatto, sconosciute a tutte quelle forme di imposizione (come l’Imu e le imposte di registro, di successione e donazione) che si basano sulle rendite catastali, dato che non hanno un’identificazione catastale propria né concorrono a formare la rendita catastale delle unità immobiliari cui sono correlate.<br><br>Cosa è dunque questo “uso esclusivo”? È liberamente vendibile separatamente dall’unità immobiliare cui afferisce oppure deve essere venduto unitamente all’unità immobiliare? Ha una durata o è perpetuo? Ancor prima e in radice, è lecito (e quindi valido) il contratto con il quale lo si costituisce?<br><br>Tutte queste domande non hanno mai avuto, in effetti, una risposta precisa e univoca, sia poiché, nel concreto, ogni situazione è diversa dall’altra, sia in quanto, sotto un profilo teorico, gli operatori giuridici si sono sempre espressi, sul punto, in modo assai variegato. Nonostante questa situazione di obiettiva incertezza, nella prassi professionale quotidiana alle situazioni di “uso esclusivo” si è sempre continuato a dare origine ex novo (nell’organizzare nuovi edifici condominiali) oppure a recepirle senza particolari problemi quando si trattava di stipulare contratti di compravendita di unità immobiliari che, all’epoca in cui il condominio era stato costituito, avevano appunto ricevuto la dotazione in “uso esclusivo” di una parte comune dell’edificio.<br><br><em>Il cambio di orientamento</em><br><br>È dunque caduta come un fulmine a ciel sereno - come anticipato - la sentenza delle Sezioni unite 28972/2020 che, con l’intento di dare ordine alla materia, ha provocato un rilevante scompiglio (in un ambito, tutto sommato, che era abbastanza pacifico), sancendo che è illecita la «pattuizione avente a oggetto la creazione del cosiddetto “diritto reale di uso esclusivo” su una porzione di cortile condominiale, costituente come tale parte comune dell’edificio» qualora con essa si miri «alla creazione di una figura atipica di diritto reale limitato, tale da incidere, privandolo di concreto contenuto, sul nucleo essenziale del diritto dei condomini di uso paritario della cosa comune».<br><br>A fronte dell’affermazione di questo principio (dettato, si badi, in una sentenza che la Cassazione ha pronunciato «nell’interesse della legge» in quanto il processo si era estinto per rinuncia al ricorso del soggetto che l’aveva presentato) due i problemi principali: da un lato, è difficile pensare, d’ora in poi, di redigere un contratto dal quale si origini un diritto di “uso esclusivo” in quanto si rischia la nullità della pattuizione; d’altro lato, occorre gestire le precedenti situazioni di “uso esclusivo”. Nel sevizio qui sotto le soluzioni in dettaglio.<br><br><em><u>I PUNTI CHIAVE</u></em><br><br><em>1 Il condominio parziale</em><br>L’uso esclusivo attribuito a uno o più condòmini ha per oggetto, di solito, una porzione dell’edificio comune a tutte le unità che compongono il fabbricato. Va distinto - ma non è sempre facile nei casi concreti - dal condominio parziale, che si ha quando una porzione del condominio appartiene in quota millesimale non a tutti i condòmini ma solo ad alcuni. Il condominio parziale si verifica spesso quando talune infrastrutture del condominio danno utilità solo a una parte delle unità che lo compongono, come nel caso di un ascensore che serve solo alcuni piani.<br><em><br>2 Il lastrico solare</em><br>Il Codice civile menziona l’uso esclusivo nell’articolo 1126 in relazione ai lastrici solari, vale a dire le coperture orizzontali degli edifici, spesso usate come terrazze o per posizionare impianti, quali celle fotovoltaiche o antenne. La norma sancisce che se l’uso dei lastrici solari non è comune a tutti i condomini, quelli che ne hanno l’uso esclusivo devono pagare per un terzo le riparazioni o ricostruzioni; gli altri due terzi sono a carico di tutti i condomini dell’edificio o della parte di questo a cui il lastrico solare serve, in proporzione del valore del piano o della porzione di piano.<br><br><em>3 Il patto di uso esclusivo</em><br>Se l’uso esclusivo non è stabilito nel regolamento contrattuale redatto quando il condominio è stato formato (caso nel quale si impone a tutti i successivi acquirenti delle unità immobiliari del fabbricato) e lo si vuole introdurre a condominio già “in corsa”, serve il consenso di tutti i partecipanti al condominio: è il presupposto per formare atti validi qualificabili come costitutivi di diritti reali sugli enti comuni dell’edificio o come locazioni sopra i nove anni. Deliberazioni a maggioranza, anche molto qualificata, nella maggior parte dei casi possono non bastare.<br>
Con la sentenza 28972/2020 un risultato senz’altro lo si è ottenuto: l’uso esclusivo nei condomìni sicuramente non è un diritto reale “atipico” in quanto, per la Cassazione, è assai solida nel nostro ordinamento l’idea che i diritti reali sono solo quelli previsti dalla legge (è il cosiddetto principio della tipicità e del numero chiuso dei diritti reali) e che la trascrizione nei registri immobiliari vale a rendere talune situazioni opponibili ai terzi solo nelle ipotesi in cui è la legge a sancirlo.

Si tratta, dunque, di stabilire caso per caso come qualificare l’uso esclusivo che si intenda concedere ex novo o che ci si trovi a gestire perché rinveniente da pattuizioni già consolidate nel passato: sul punto, come detto, è intervenuto anche il Notaraiato.

Ad esempio, se la porzione concessa in uso esclusivo a una data unità immobiliare (senza limiti di durata, espliciti o impliciti) non avesse alcuna utilità per nessun’altra unità immobiliare dell’edificio (si pensi a un balconcino o a un abbaino cui si acceda solo da un appartamento) non sarebbe lontano dal vero se si individuasse in tale situazione un vero e proprio diritto di proprietà “piena” (che, come tale, è alienabile senza alcun limite da chi ne sia il titolare).

Inoltre, si potrebbe concepire l’avvenuta costituzione di un diritto reale di usufrutto (che è, di regola, cedibile) o di uso (che è, di regola, incedibile) quando se ne ravvisassero gli indici e, principalmente, quello della durata: si tratta infatti di diritti che si estinguono, al più tardi, con la morte della persona che ne è il titolare originario e che, se costituiti a favore di un soggetto diverso da una persona fisica, non possono eccedere un periodo maggiore di un trentennio.

Senz’altro più complicato ravvisare la configurazione di un diritto di servitù (ipotizzando il condominio come fondo servente e come fondo dominante l’unità immobiliare a cui vantaggio è stabilito l’uso esclusivo) in quanto la servitù non può asciugare del tutto l’utilità che può ritrarsi dal fondo servente. Tra l’altro, occorre tener conto che la servitù è configurabile, sia con una data di scadenza, sia in perpetuo.

Quindi, il diritto di parcheggio nel cortile condominiale può essere concepito come esercitabile in funzione di un diritto di servitù attiva che compete a un dato appartamento solo se l’area di parcheggio si può intendere come uno spazio dal quale il condominio trae luce e areazione e cioè le principali utilità che residuano se l’occupazione della porzione di suolo destinata alla sosta di veicoli compete stabilmente a un solo condomino. Ed è chiaro che, se configurato come servitù, questo “uso esclusivo” non è cedibile se non insieme all’appartamento cui afferisce (e, viceversa, non può non essere ceduto se viene alienato l’appartamento al quale esso è correlato).

Altre soluzioni possono essere quella del ricorso al regolamento condominiale, nel quale venga disciplinato l’uso esclusivo di talune parti dell’edificio come, appunto, l’area destinata a parcheggiare le vetture degli abitanti o degli utenti dell’edificio (prevedendo, ad esempio, spazi perpetuamente riservati oppure un godimento turnario); o si possono utilizzare figure contrattuali di contenuto non reale, come il comodato o la locazione, distinte dal fatto che nel primo caso l’utilizzo è gratuito mentre nel secondo caso vi è il pagamento di un canone.

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